19 Marzo 2024
Alessandra Ferrara | Vittime e carnefici di una società pronta solo a giudicare cosa sia “bello”. Il boby-shaming non è un concetto che non ci appartiene
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Alessandra Ferrara

Siamo vittime non ancora decedute di una società pronta ad esprimere giudizi gratuiti senza alcun pudore. Contemporaneamente potenti e spietati carnefici da tastiera.

Scagli la prima pietra chi non abbia esternato un commento, positivo o negativo che sia, sulla bellezza fisica e mentale di qualcuno, anche solo per animare la sala d’attesa del medico?

Il body-shaming non è un concetto che non ci appartiene, anzi è una pratica comune non ben distinta solo perché non le abbiamo mai attribuito un appellativo. Deriva dalla composizione delle parole body, corpo, e shaming che in inglese traduce l’espressione “far vergognare qualcuno”: si tratta quindi di volgere critiche ed insulti offensivi su caratteristiche dell’aspetto fisico di una persona, dal colore delle sopracciglia alla forma del ginocchio, dalla conformazione del sedere a quella dell’orecchio. Non colpisce solo le donne! Anche se ne sono il bersaglio prediletto.

Ogni dettaglio fa la perfezione e la perfezione non è un dettaglio, sosteneva il buon Leonardo Da Vinci dipingendo la Monna Lisa: sarà stata anche lei vittima di commenti negativi per la rotondità delle sue guance o per la robustezza del collo, lontani anni luce dalle forme proporzionate e dai lunghi capelli biondi della Venere di Botticelli?

L’interrogativo da porsi ha una natura più profonda trovando terreno fertile nel concetto di bello e di bellezza. Forse una giusta definizione è stata fornita dal Sommo Poeta nel Convivio, in cui definisce il bello come quella cosa dice l’uomo esser bello, le cui parti debitamente rispondono, perché dalla loro armonia risulta piacimento.

Due parole dovrebbero colpire il lettore: armonia e piacimento. La prima combina la diversità in modo da concretizzare un equilibrio perfetto (l’alternanza degli intervalli di tono in una partitura musicale, le equazioni in matematica, l’accostamento dei colori su un dipinto). La seconda, invece, è un sentimento dettato dal provare piacere in tutte le sue forme dal fisico al morale.

Les Demoiselles d’Avignon di Pablo Picasso, quadro simbolo del Cubismo, ne è un concreto esempio: le cinque donne dipinte dal maestro fissano con i loro grandi occhi neri strabici l’osservatore, ammaliandolo come fossero sirene. Non sono vestite con fastosi abiti, sono nude. Mostrano corpi ora esili, ora robusti e non proporzionati. Ognuna ha delle caratteristiche diverse dalle altre: due di loro indossano addirittura una maschera tribale, quasi a nascondere il volto. La posizione delle braccia, con i gomiti in alto, fornisce sensualità alla composizione. Ecco che armonia delle forme, delle espressioni determinano quel sentimento che porta l’osservatore a definire “bello” il dipinto, lasciandolo affascinato.

Queste cinque donne, rese immortali dal pennello di Picasso sono mai state giudicate per il loro aspetto? Possibilmente sì, ma milioni di visitatori ogni anno affollano la sala del MoMA di New York per poter godere di quell’attimo di piacere artistico che scavalca ogni pregiudizio.

Forse l’estroso direttore artistico di Gucci, Alessandro Michele si è ispirato a Picasso nella più discussa scelta nel mondo della moda degli ultimi tempi: far calcare le prestigiose passerelle alla modella armena Armine Harutyunyan, definita una modella non convenzionale. Non è bionda come Kate Moss, non ha lo sguardo magnetico di Cara Delevingne, la sensualità di Adriana Lima. Al contrario folte sopracciglia nere che ricordano un po’ Frida Kahlo, viso allungato come le donne dei quadri di Amedeo Modigliani, naso stretto e lungo, il portamento statuario e lo sguardo penetrante però come una “classica” modella. Caratteriste che hanno esposto Armine al body-shamming perché percepita “brutta”, fuori dagli standard della moda.

Nonostante lo scalpore mediatico, il suo particolare aspetto le ha, comunque, permesso di sfilare per una delle più grandi case di moda a testa alta, senza alcuna paura, anzi rendendola fiera del suo lavoro accanto alle altre colleghe, ognuna con la propria bellezza. Trasformare quelli che altri interpretano come difetti estetici è allora un’opportunità di cambiamento, di rivoluzione ed Armine ne è portavoce.

La bellezza, quindi, non si riduce ad un canone, ad una regola quindi non è giudicabile in maniera assoluto. Osserviamone, allora, semplicemente la sua armonia per provare anche una minima percentuale di piacere.

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