19 Maggio 2025
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Fonte Scienza in Rete Il metalupo non è un vero metalupo, ma una sua riproduzione infedele, un simulacro. Almeno così pare, in attesa che i ricercatori di Colossal Biosciences, che hanno generato i simpatici cuccioli editando il DNA del comune lupo grigio, pubblichino i risultati su una rivista scientifica. Niente de-estinzione, quindi. Ma se anche di de-estinzione si trattasse, l’estinzione di quell’antico lupo non si annullerebbe, come la de-morte non cancellerebbe gli effetti della nostra morte. Milioni di anni dopo è cambiato tutto, con che faccia torneremmo a vivere? Ci sarebbero i presupposti per passarcela decentemente? Non faremmo brutta figura, visto che già dopo i 60 anni ci facciamo compatire usando il cellulare come una pietra focaia? E il metalupo redivivo metaululerebbe senza vergogna? Il contesto ha il suo peso. Quando qualcosa si estingue è meglio che resti tale, anche se spiace.
Mi pare invece un concetto più interessante quello di “biodiversità oscura”, che gli ecologi hanno forgiato richiamandosi alla “materia oscura” dei fisici. La biodiversità oscura è appunto quella che non si vede, ma che c’è, o meglio ci sarebbe se noi umani non stessimo fra i piedi a rovinare tutto. Un gruppo nutrito di ecologi, in prevalenza botanici, ha avuto la pazienza di studiare 5.500 aree naturali in giro per il mondo, facendo la lista delle piante che ospitano e di quelle che, pure adatte a quei climi, non ci sono. Come mai, visto che si tratta di aree naturali apparentemente intatte? Perché l’impronta degli esseri umani riesce comunque a manifestarsi e a turbare quell’equilibrio ideale; basta una strada, una linea elettrica, financo un campo coltivato a chilometri di distanza per pregiudicare la pienezza di vita di quel luogo, riducendo la sua potenzialità ecologica. Fra le altre cose, la ricerca mostra come i parchi e le aree soggette a conservazione stretta abbiano un tasso minore di biodiversità oscura. Ed è per questo che – come spiega il botanico Alessandro Chiarucci all’autrice dell’articolo di Scienza in rete – è così importante conservare le aree naturali, in modo che almeno un terzo del territorio sia protetto, e il dieci per cento in forma rigorosa, cioè senza la nostra presenza.
Basterebbe rispettare questo limite, ridurre la nostra impronta, per non affannarci dopo a penosamente de-estinguere il caro estinto, ed evocare il fantasma del metalupo. Prevenire, non curare. Conservare, non sprecare.Luca Carragia.

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