12 Novembre 2025
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Fonte Scienza in Rete Qualche anno fa ci si è accorti che dell’enorme porzione della plastica prodotta a livello globale e finita per diverse strade negli oceani, meno della metà era presente nell’ambiente. Dove era finita la plastica scomparsa? Una prima indicazione è giunta nel 2020, quando due scienziati hanno accertato che le indagini condotte in precedenza avevano omesso di considerare le microplastiche e hanno ipotizzato che l’insieme di questi frammenti compensasse la quantità di plastica scomparsa.
Una ricerca internazionale ha stimato nell’Atlantico almeno 27 milioni di tonnellate di nanoparticelle di plastica, rivelandole come la principale componente dell’inquinamento plastico marino e svelando il mistero della plastica scomparsa dagli ecosistemi. Ne scrive Stefano Nespor, socio fondatore di Greenlex e direttore della Rivista Giuridica dell’Ambiente.

Le nanoplastiche sono particelle di plastica inferiori a 1 micrometro (µm) di dimensioni, che si formano per frammentazione di plastiche più grandi o sono prodotte intenzionalmente e aggiunte a prodotti come cosmetici e pesticidi. A causa delle loro dimensioni estremamente ridotte, possono facilmente attraversare le barriere biologiche, entrare nella catena alimentare e trasportare altre sostanze nocive. La loro tossicità, che può includere danni cellulari e stress ossidativo, dipende da fattori come il tipo di polimero e la presenza di additivi, ma i loro effetti a lungo termine sulla salute umana e sull’ambiente sono ancora oggetto di ricerca (Fonte AI)

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