Jacopo Bianchi | Pochi contenuti, qualche contestazione, tanto mestiere. L’atteso confronto Violante-Zagrebelsky sulla riforma costituzionale andato in scena domenica sera alla Festa dell’Unità di Torino è stato lo specchio di questa Italia che si avvicina al referendum. Votare “si” o votare “no” è sempre più una scelta di campo contro l’avversario piuttosto che a favore di una posizione certa e condivisa.
Il primo ad accorgersene è stato proprio Gustavo Zagrebelsky, immediatamente interrotto da una ragazza della platea, che ha chiesto di esaminare i punti e i contenuti della riforma invece di largheggiare con i preamboli e le introduzioni. Ma a farla comunque da padrone dal palco dell’area dibattiti di Piazza d’Armi è stata una buona dose di politichese mescolata ad una sapiente lezione di diritto costituzionale. Ne è nato un ragionamento su sessant’anni di storia repubblicana e di storia dei partiti politici, durante il quale ha fatto timidamente la sua comparsa anche il disegno di legge di riforma della Costituzione.
È successo quando il discorso è (finalmente) caduto sul tema dei futuri assetti del Senato. Come saranno scelti i nuovi inquilini di Palazzo Madama? In maniera contraddittoria, secondo Zagrebelsky, perché c’è contraddizione già nel testo presentato dal ministro Boschi. “I senatori -ha puntualizzato il professore citando l’articolo 2 della riforma del Senato- saranno eletti dai consigli regionali secondo le scelte degli elettori, quindi con un’ambiguità di fondo su chi farà la scelta con un voto o con una nomina”. Non così per Luciano Violante: “sulla scheda elettorale per il consiglio regionale -ha spiegato l’ex magistrato- gli elettori potranno indicare accanto alla preferenza per il consigliere anche il nome del candidato al Senato che se eletto al consiglio potrà concorre alla seconda elezione”. Il Senato -ha aggiunto Violante- non dovrà più votare la fiducia al governo, cancellando così uno dei motivi di instabilità che hanno portato ad un’alternanza di maggioranze negli ultimi vent’anni. Ma lo stesso Senato avrà una competenza generale sull’attuazione delle politiche comunitarie, motivo questo che lo autorizzerà ad intervenire sugli atti del governo con il rischio -è l’analisi di Zagrebelsky- di rallentare se non addirittura ostacolarne il lavoro.
Insomma, non ne usciamo con le idee più chiare di quando siamo entrati. Come non siamo sicuri che un “no” o un “si” al referendum preservi o deleghi l’autonomia e la sovranità degli italiani a beneficio di chi oggi dall’Europa a certi giornali finanziari chiede un cambio di marcia al nostro Paese. Di una cosa siamo sicuri, che prima o poi voteremo per questa riforma. Quando, però, ancora non si sa.