24 Aprile 2024
Maria Ausilia Di Falco | Nel Dantedì facciamoci prendere in mano da Dante, ripuliamo il rumore di questo Inferno ascoltando Pärt. E guardiamo le stelle
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Maria Ausilia Di Falco

Il social preferito di Dante Alighieri sarebbe Instagram. Perché il Professore sempre giovane, già nel Trecento, amava fotografare la realtà e commentarla. Le pagine della Divina Commedia sarebbero post quadrati con frasi brevi a ritmo di tre –le terzine ci piacciono anche nel XXI secolo.

Sarebbero stories da caricare per riflettere sulla vita. Ma soprattutto sulla morte, e sul male. Era il male che interessava a Dante. Il male e la sua natura. Il male e le sue origini. Il male e le sue derive. Non ci siamo ancora liberati del male e le sue derive.

E proprio per questo, immagino che i post con più like sarebbero quelli dedicati all’Inferno, perché anche se aspiriamo al Paradiso e siamo sedotti dal Purgatorio, è nell’Inferno che stiamo. È in quel rosso fuoco che troviamo la poesia.

Musica all’Inferno

La Divina Commedia è un’opera che scrive i movimenti dell’anima, i moti interiori. Quei moti turbolenti che nascono dal male, una danza tribale visibile. Non c’è danza senza musica. Ma c’è musica nell’Inferno? E se c’è, è la stessa dell’Inferno di Dante?

Pare che non sia cambiato molto da allora a ora, perché nel dubbio siamo nati e nel dubbio affoghiamo; dannati eravamo e dannati siamo rimasti. Personaggi in fuga. Anche quando una quarantena -un Purgatorio- diventa una casa che ci intrappola e non ci fa andare né avanti né indietro. E pur bloccati, consapevoli del limite, iniziamo a fuggire nella mente. Così, non siamo solo dannati noi, vediamo tutti i dannati in noi. Noi, eterni personaggi in fuga, non riusciamo a fuggire dal male.

Oggi più che mai ci manca un Dante di riferimento. Avremmo davvero bisogno di qualcuno che ci spiegasse come combattere questo male, qualcuno che ci accompagnasse in questo faticoso cammino verso il Paradiso. Che ci facesse ancora credere che un Paradiso esiste, che possiamo sperare di incontrare Dio alla fine del mondo.

Qualcuno con cui accettare il fatto di non essere perfetti. E nel viaggio, danzare nel vortice dell’attesa e trovare la giusta musica per muoversi sempre e comunque, e non restare mai fermi.

Dante aspirava alla perfezione ma sguazzava nell’imperfezione. E nel libero arbitrio trovava una risoluzione ai problemi. Analizzando la realtà, faceva uomini risolti non perfetti. La chiave di tutto stava nell’attesa del come risolvere. E allora, mai più di oggi, la nostra necessità è Dante e la sua Divina Commedia. Fosse anche una Digital Commedia dei tempi moderni, ancora da commedianti viviamo. Come recitava Brecht «Nel mondo l’uomo è vivo solo a un patto: se può scordar che a guisa d’uomo è fatto

L’imbuto del mondo

I versi di Dante, che altro non sono che parole, quei suoi schemi, quei concetti lanciati nel mondo 700 anni fa, risuonano benissimo anche nella nostra società, seppur in panni diversi. Come a dire, è cambiato il contenitore ma non il contenuto. Il mondo è sempre a forma di imbuto, in basso c’è l’Inferno, in mezzo il Purgatorio, in alto il Paradiso.

Quei versi risuonano. I canti della Divina Commedia cantano ancora. Sembrano musica. I suoni di sottofondo sono sempre gli stessi.

Quivi sospiri, pianti e alti guai / risonavan per l’aere senza stelle

Nell’Inferno risuonano pianti e guai, lamenti. Corni di morte. Diremmo rumori forse, assenza di suoni compiuti, chiari. La confusione mista a tristezza di ciò che si è perso e non si può avere più. La cacofonia della disperazione.

Nessun maggior dolore

che ricordarsi del tempo felice

ne la miseria

Tutto ciò ha a che fare con la musica? Un noto compositore contemporaneo afferma che quello che sente di Dante è musica eccome, perché ancora oggi, in quello che di Dante ascolta, si riconosce. A cominciare proprio dall’Inferno: «la parte che capisco di più è l’Inferno, perché dell’Inferno faccio ogni giorno esperienza.» A parlare è Arvo Pärt.

In tanti potrebbero obiettare che l’Inferno è un luogo pieno di rumori terribili. Che il Purgatorio è invece il luogo della parola, il luogo che pulisce i rumori e li riconcilia nella comunione del canto all’unisono, del canto gregoriano e poi dell’organo. E che il Paradiso infine è pieno di musica, il luogo del dialogo incessante di voci e cori che si rispondono, il luogo dove nella varietà si trova il godimento.

Arvo Pärt, come Dante

In effetti non c’è peggior Inferno che avere dei rumori fissi in testa. Se dobbiamo fare spazio, e se è la pace che vogliamo, cerchiamo il silenzio. E poi, in fondo, la melodia arriva come una luce. Ma Arvo Pärt, come Dante, per arrivare al silenzio deve partire dai rumori, toglierli dal sottofondo, trascolorarli e farne piccole melodie che nascono e crescono. Pärt come Dante non è né chiaro, né scuro. È contemplativo ed entrambi creano opere contemplative. Gode solo chi canta fino al Paradiso, dalla prima all’ultima nota.

Questo percorso ha a che fare con la musica, sì.

E come a buon cantor buon citarista fa seguitar lo guizzo della corda, in che più di piacer lo canto acquista, sì mentre che parlò, sì mi ricorda, ch’io vidi le due luci benedette pur come batter d’occhi si concorda con le parole mover le fiammette

Io me lo immagino Virgilio che si fa spazio tra i rumori dell’Inferno e non vede l’ora di ascoltare un Tin per salire di livello. E un altro Tin per avvicinarsi al suono dolce delle campane. E Tin, Tin, tintinnabulare fino al Paradiso, come le note di Pärt nelle ondivaghe ricerche delle linee melodiche, che si mischiano fino alla purezza di una composizione celestiale. Virgilio e le note ascendono verso le porte del Paradiso. Siamo tutti orecchi.

Tanto la Divina Commedia quanto i brani di Pärt sembrano salmi. Dante riempiva fogli interi creando una qualche relazione tra quello che leggeva e scriveva, parole. Pärt riempiva gli spartiti creando una qualche relazione tra quello che ascoltava e scriveva, suoni.

Entrambi in una ricerca interiore di uno stile ascetico, qualcosa a cui ascendere lentamente. E in questa salita, impossessarsi del divino. Unirsi al coro di anime, alle voci dei beati per conoscere la verità dei tre mondi, ascoltando dentro al viaggio, il cuore umano. Perché di questo si tratta. Di stare dentro al viaggio, da quando si parte, nell’interruzione del ritmo creata dai rumori dell’Inferno, a quando si arriva, nella distensione del tappeto sonoro dell’armonia del Paradiso.

Un rumore pulito

Dante, quando ha scritto la Divina Commedia, non si è mosso dal luogo in cui si trovava. Era fermo, come lo siamo noi adesso. E da fermo ha superato l’Inferno della solitudine, il Purgatorio della fatica, per giungere infine al Paradiso degli abbracci. Nel Dantedì, facciamoci prendere in mano da Dante, ripuliamo il rumore di questo Inferno ascoltando Pärt. E guardiamo le stelle. Le stelle che si contemplano meglio se non c’è luce. Siamo al buio, in quel desiderio dove al primo bagliore c’è la via di fuga.

E quindi uscimmo a riveder le stelle

Spingendo il naso all’insù per tutta la notte, tra le stelle spunterà il sole. E tra stelle e il sole, l’amore.

L’amor che muove il sole e l’altre stelle […]

Amor che ne la mente mi ragiona / cominciò elli allor sì dolcemente/ che la dolcezza ancor dentro mi suona

Suona.

Tra il sole e le stelle non c’è forse l’eterna danza del cielo? In questa metamorfosi del ballo in canto spirituale, nasce il coro dei sapienti, la lirica francescana con cui Dante fa poesia. Egli supera l’apparenza e scrive nell’eterno. Scrive l’opera perdurabile per eccellenza nel Tempo. E Pärt è musica delle sfere celesti. Anche i suoi Tin perdurano nel Tempo sovrano.

Già nel Convivio Dante scriveva: “Ancora la Musica trae a sé gli spiriti umani, che sono vapori del cuore, sicché quasi cessano da ogni operazione; si è l’anima intera quando l’ode, e la virtù di tutti quasi corre allo spirito sensibile che riceve il suono.

Siamo arrivati al Suono. Al verbo. Ai vapori del cuore. A Dio.

Il Paradiso (forse) esiste.

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