19 Aprile 2024

An aerial view of the Chernobyl nucler power plant, the site of the world's worst nuclear accident, is seen in April 1986, made two to three days after the explosion in Chernobyl, Ukraine. In front of the chimney is the destroyed 4th reactor. (AP Photo)

Luca Garnero | 35 anni fa il disastro nucleare più tragico della storia. E in Italia si discute sul futuro delle scorie
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Luca Garnero

Il 26 aprile di 35 anni fa avveniva il disastro nucleare più tragico della storia dell’uomo. Il reattore numero 4 della centrale di Chernobyl, in Ucraina, scoppia provocando una deflagrazione pari a 500 bombe Hiroshima.

La stima delle vittime

Sono diverse le stime che registrano il numero di vittime causate nell’esplosione e non poche polemiche accompagnano lo studio del Chernobyl Forum pubblicato nel 2006 accusato di aver conferito dei dati sottostimati a causa di un conflitto di interessi. Di 30-60 mila persone parla invece lo studio Torch pubblicato nello stesso anno e di quasi un milione di morti quello pubblicato nel 2009 da un team di scienziati diretti dal biologo Alexey Yablokov.

Ciò che appare certo è che un numero indefinito di persone è stato vittima di un disastro che ha provocato conseguenze immediate, ma anche a medio e a lungo termine. Migliaia o decine di migliaia di persone sono state esposte ad altissimi livelli di radioattività a causa della nube tossica innalzata dalla centrale e migliaia sono i bambini nati con malformazioni.

Vittime sono anche i raccolti: l’area contaminata non si limita solo all’Ucraina ma si estende in tutto il mondo. Per due anni, il consumo di ortaggi e di alimenti freschi viene vietato dai governi europei, tanto che la gente è costretta all’uso razionato di verdura, all’acqua non potabile, ai costanti controlli medici. 2.800 km di acqua e le specie di flora e fauna risultano contaminati per sempre.  

La zona rossa

“Red Zone” è infatti il nome assegnato all’area di 30 km disposta intorno al luogo dell’esplosione e la città ucraina di Pripyat, a pochi km dal sito contaminato, rappresenta oggi una vera e propria “città fantasma”.  Sono solo i “Liquidatori”, le figure istituite dalle autorità sovietiche autorizzate a circolare liberamente nell’area radioattiva, che tuttavia non sono esenti dalle tragiche conseguenze: oltre 850 mila liquidatori solo quest’anno sono morti a causa dell’esposizione al materiale radioattivo, come si evince dai documenti segreti rivelati alla stampa.

Oggi l’intera area di Chernobyl, a causa dell’assenza di abitanti nei villaggi, è diventata una vera e propria riserva di biodiversità e di rewilding (ne abbiamo parlato QUI), in cui si possono trovare specie di animali e piante anche in via di estinzione.

In Italia si discute di scorie

In Italia invece il 20 gennaio si è svolto il primo incontro informativo del Tavolo di trasparenza e partecipazione nucleare.  Una riunione che ha visto protagonisti i rappresentanti degli enti locali, i cui territori presentano aree ritenute idonee al progetto pubblicato dalla Sogin il 5 gennaio.

Si tratta di territori individuati nella Carta Nazionale perché considerati adeguati ad ospitare il Deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi nell’ambito del Parco Tecnologico. L’incontro si è quindi incentrato sull’illustrazione dei criteri che hanno condotto la società responsabile della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi all’individuazione delle aree adeguate.

Per l’assessore all’Ambiente della Regione Piemonte Matteo Marnati “sarà un importante momento di democrazia e un’occasione di massima condivisione e trasparenza per affrontare seriamente il confronto con gli enti locali e tutti i soggetti direttamente e indirettamente interessati alle scorie nucleari”.

Così recita il documento consultabile sul sito della Sogin: “Il deposito nazionale è un’infrastruttura ambientale di superficie dove saranno messi in sicurezza i rifiuti radioattivi italiani prodotti dall’esercizio e dallo smantellamento degli impianti nucleari e dalle quotidiane attività di medicina nucleare, industria e ricerca. La realizzazione del Deposito Nazionale consentirà di completare il decommissioning degli impianti nucleari italiani.

Non solo rifiuti

Insieme al Deposito sarà realizzato un Parco Tecnologico, un centro di ricerca aperto a collaborazioni internazionali, dove svolgere attività nel campo energetico, della gestione dei rifiuti e dello sviluppo sostenibile. Saranno costruiti in un’area di circa 150 ettari, di cui 110 dedicati al deposito e 40 al Parco. In totale saranno ospitati “circa 78 mila metri cubi di rifiuti a bassa e media attività”.

Si stima un investimento complessivo di circa 900 milioni di euro che genererà oltre 4.000 posti di lavoro all’anno per 4 anni di cantiere, diretti (2.000 fra interni ed esterni), indiretti (1.200) e indotti (1.000).

Un coro di “no”

Sono stati individuati 8 luoghi idonei per ospitare il deposito nazionale delle scorie nucleari: due in provincia di Torino: Caluso,Mazzè, Rondissone e Carmagnola. 6 in provincia di Alessandria: Castelletto Monferrato, Quargnento, Fubine Oviglio, bosco Marengo Frugarolo, Bosco Marengo e Novi Ligure, Castelnuovo Bormida, Sezzadio. Da pressoché tutte le istituzioni locali arriva un coro di no.

Il presidente della regione Piemonte Alberto Cirio dichiara: “Trovo assurdo che una scelta di questa portata sia stata assunta senza un minimo confronto con la regione e i sindaci dei territori. È Inaccettabile che da Roma piovano di notte sulla testa dei cittadini piemontesi decisioni così importanti e delicate che riguardano le nostre vite“.

Un altrettanto secco rifiuto perviene dal comune di Carmagnola, e in particolare dalla sindaca Ivana Gaveglio, contraria a rendere l’area agricola l’ospite delle scorie: “Non siamo stati informati preventivamente. È una situazione assurda e siamo determinati a dimostrare la non idoneità dell’area individuata e a proteggere il territorio carmagnolese e i suoi abitanti“. La sindaca lancia inoltre l’appello “a tutte le forze politiche, associazioni di categoria e a tutti i cittadini di affiancarci in questa battaglia”.

Anche il presidente Coldiretti Alessandria Mauro Bianco esprime preoccupazione in merito: “La scelta del deposito deve tutelare la forte vocazione agricola del nostro territorio, dove vengono prodotti grano, nocciole, vini, ortaggi. Servono necessarie garanzie di sicurezza e forte attenzione al consumo di suolo”.

Non c’è dubbio: il Piemonte rifiuta la possibilità di diventare luogo del deposito nazionale.

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