
Covid e lavoro: la sofferente panoramica del Piemonte
— 7 Aprile 2021Luca Garnero
Sono sempre più incerte le prospettive di lavoro e di realizzazione personale, soprattutto per i giovani e per i neolaureati. È quanto emerge dal rapporto pubblicato dal Centro di studi statistici della regione Piemonte IRES che fotografa la situazione occupazionale nel 2019 e nei primi mesi del 2020.
A un anno dallo scoppio della pandemia di Covid-19, il Piemonte vive una delle crisi economiche più devastanti dal Secondo Dopoguerra e da quella più recente del 2008.
Numeri con il segno “meno”
È di 38.599 il totale delle assunzioni registrate, circa il 30% in meno rispetto a quelle avvenute nel marzo 2019. Ma ciò che preoccupa è che questo dato è ancora in calo: si parla di -414 mila unità, per un 1,8% in meno rispetto al quarto trimestre 2019.
Infatti nonostante aumentino i dipendenti a tempo indeterminato di 98 mila unità (+0,7%), a diminuire sono soprattutto i dipendenti a termine (-383 mila, -12,3%) e gli indipendenti (-129 mila, -2,4%). Anche per i giovani la situazione non è rassicurante e a pagare il prezzo più alto sono soprattutto i neo-laureati.
A dirlo sono i dati dell’ultimo rapporto del consorzio Almalaurea, in cui si evidenzia un tasso di occupazione, a un anno dal conseguimento del titolo, del 65,0% tra i laureati di primo livello e del 70,1% tra i laureati di secondo livello. Rispetto alla rilevazione del 2019, entrambe le quote sono in calo: rispettivamente, -9,0 punti e -1,6 punti percentuali.
In significativo aumento è anche il tasso di disoccupazione. Sono il 18,7% i laureati di primo livello e il 15,4% i laureati di secondo livello che nel 2020 ad un anno dalla laurea registrano rispettivamente +4,5 e +1,6 punti percentuali.
Il divario di genere si allarga
Ad essere penalizzate soprattutto le donne: Almalaurea registra un tasso di occupazione pari all’84,8% per le donne e un 89,8% per gli uomini, con assunzioni del 5% in meno di neolaureate. Inoltre a cinque anni dal titolo di laurea magistrale, svolge un lavoro a elevata specializzazione il 62,8% delle donne rispetto al 66,4% degli uomini.
Un gender gap dunque in aumento, un divario profondo tra i laureati ambosessi che accedono al mondo del lavoro evidente anche nella differenza a livello retributivo: 1.715 euro netti mensili per gli uomini contro i 1.467 euro delle donne.
Un confronto ancora più allarmante emerge dalle stime dell’Istat: sono più di 2 milioni le famiglie in condizioni di assoluta povertà, 1 milione in più rispetto al 2019. Il quadro che emerge dai dati è desolante, ma non irreversibile.
La speranza per tutti ha un nome: next Generation Eu o Recovery plan, da dividere tra politiche attive del lavoro, transizione ecologica e digitalizzazione della PA.
Il governo Draghi dovrà insomma prestare attenzione al futuro, con un occhio di riguardo alle giovani generazioni e alle famiglie in difficoltà, approfittando anche dell’imminente sblocco dei licenziamenti che interesserà il settore pubblico.
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