20 Aprile 2024
JB | Yukon, Canada del nord. Un territorio grande quanto la Spagna abitato da poco più di 35mila persone. Qui quando qualcuno ha bisogno di schiarirsi le idee va fuori città, per provare a "vivere il momento". Cerca il suo posto nel bush e lì riallaccia i legami con il mondo, dentro e fuori di sé.  
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JB | Yukon, Canada del nord. Un territorio grande quanto la Spagna abitato da poco più di 35mila persone. Qui quando qualcuno ha bisogno di schiarirsi le idee va fuori città, per provare a “vivere il momento”. Cerca il suo posto nel bush e lì riallaccia i legami con il mondo, dentro e fuori di sé.

Così ha fatto la regista Suzanne Crocker, che per nove mesi ha vissuto insieme alla sua famiglia in una casa di tronchi senza elettricità né acqua corrente in mezzo ai boschi. Padre, madre, tre figli, due gatti e un cane alla ricerca di una nuova prospettiva di vita e di una intimità che i ritmi quotidiani rischiavano di compromettere.

Un viaggio diventato nel 2014 All the Time in the World, documentario selezionato quest’anno da Cinemambiente per il Concorso Internazionale One Hour. Più di cinquecento ore di filmati condensati in un racconto di cinquantadue minuti, un intero lungo inverno canadese vissuto non come sfida ma come opportunità. “Non sempre c’è un dopo -spiega la regista a chi le chiede il perché di un’esperienza così estrema- spesso bisogna fare le cose quando si può,  quando capita l’occasione, altrimenti poi ci si pente”. Carpe diem, insomma, e poco importa se per cogliere quell’attimo bisogna lasciarsi alle spalle le comodità della vita cittadina. Suzanne e la sua famiglia scelgono di non portare con sé telefoni, computer e neanche orologi. Decidono di vivere con i ritmi che la natura imporrà loro, sopportando anche i 40 gradi sotto zero del mese di gennaio. Risalgono il fiume con una barca, tracciano il sentiero per arrivare alla propria casa, costruiscono magazzini e ripari. In attesa dell’inverno che li taglierà fuori dal mondo ma allo stesso tempo saprà proteggerli.

Non è nato a tavolino All the Time in the World: la telecamera della regista faceva parte del bagaglio ma non ha mai preso il sopravvento. “Nessuno ci faceva caso-dice oggi Suzanne- e ancora adesso i miei figli dicono di non ricordarsi di avermi mai visto con la telecamera in mano”. L’idea del documentario è arrivata dopo, quando a primavera tutta la famiglia è tornata in città. Ed è  stato proprio il ritorno il momento più difficile del viaggio.

 

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