19 Marzo 2024
Federico Buchicchio | A un mese dall’inizio del nuovo anno, la scuola rischia di trasformarsi in un circo, tra banchi a rotelle e didattica a distanza
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Federico Buchicchio

Per alcuni, da quel lontano febbraio in cui si annunciavano i primi contagi da Coronavirus in Italia (i primissimi in Europa) sembra trascorso un secolo, per altri sembra solo ieri.

La magica notte di Natale era ancora un ricordo vivido per i più piccoli: montagne di regali, la sveglia presto all’alba, il bicchiere di latte per Babbo Natale sul tavolo della cucina, le luci danzanti dell’albero nel salone, il pupazzo di neve nel giardino.

Il rientro nelle aule di tutta Italia non aveva che compiuto un mese in un anno che si preannunciava tutto fuorché così nefasto: il 2020. I primi vent’anni del XXI secolo. Un secolo che, detto francamente, non è iniziato affatto bene: siamo quasi alla ventesima celebrazione dell’11 settembre e dall’altra parte dell’oceano gli USA sono ancora nel pieno di una crisi d’identità alimentata dal vento caldo di un nuovo nazionalismo giunto anche in Europa.

Ai media è stato dato il compito di trasportarci nel vortice di una crisi sanitaria senza precedenti dai tempi della febbre spagnola, una crisi impossibile da nascondere agli occhi dei più piccoli che tutto vedono, sentono e interpretano senza i filtri dei social come facciamo noi; una crisi che sembra uscita dai migliori libri di fantascienza alla Dan Brown e che tutti ci siamo illusi di poter scampare e tenere rinchiusa negli schermi dei nostri televisori. Ma non è andata così. Quella cosa, per dirla alla Carpenter, è arrivata anche dai noi ed è qualcosa che oggi, dopo ormai sette mesi, decide ancora il nostro futuro.

E in questo fragile mondo fatto di carta i bambini sono diventati i testimoni di uno dei più grandi fallimenti della storia dell’era della globalizzazione: andiamo sulla Luna e su Marte e non sappiamo far ripartire il nostro sistema scolastico. Stiamo settimane intere a vagliare la migliore delle ipotesi senza capire che il virus è dentro di noi e tra di noi ci vive e ci sguazza, con o senza rotelle, senza ricordarci che in un liceo artistico per fare una copia dal vero ci si deve alzare, spostare, osservare da più punti di vista, fare tutte le misurazioni del caso. Per non parlare della scomodità nell’abbassarsi continuamente per prendere e cambiare i libri da una lezione all’altra in un banco a rotelle che dopo sei ore di lezione ti fa ben altro che il fondo schiena quadrato. Se il banco a rotelle sarà comodo o meno ce lo diranno gli studenti tra circa un mese, ma il dubbio che rimane è se servirà davvero a combattere il virus. L’alternativa, molto più credibile, è andarcene dalla Terra, magari proprio sulla Luna, vista la fluidità della nuova didattica a distanza. Il Wi-Fi arriva anche lì vero?

Scherzi a parte, come funzioneranno i nuovi banchi ce lo ha spiegato bene la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina negli studi di In Onda (come dimostrato in questo video), un ministro che a differenza di molti altri porchettari finiti magicamente tra i muri di uno dei due rami del nostro Parlamento vanta un curriculum professionale di tutto rispetto. Viene però da chiedersi, talk-show a parte, se non si corra il rischio di trasformare tutto in una farsa televisiva in cui c’è chi comanda, chi obbedisce e chi ci rimette.

Così, mentre dalla più grande classe pollaio di tutto il paese i nostri politici se la giocano a colpi di slogan, i nostri bambini, burattini degli eventi, hanno smesso di essere bambini e, al contrario del nostro Pinocchio, hanno perso la loro innocenza. E, proprio come un modernissimo Pinocchio, hanno anche smesso di andare a scuola per entrare nel cinico e monocromatico mondo degli adulti, un mondo che parla una lingua completamente diversa che assomiglia molto a quella dei geroglifici egizi. Un mondo in cui non esistono più il nascondino, la strega comanda color o il lupo mangiafrutta.

In un mondo che solo di recente ha scoperto gli asili nel bosco sulle orme dei paesi del nord, la scuola si è trasformata in un pericoloso vis a vis digitale in cui c’è tutto ma manca ogni cosa: gli sguardi, il gruppo, l’intervallo, l’alzata di mano, il panino da casa, i bigliettini alla Ti vuoi mettere con me? e finanche il bidello. Il mondo dei bambini è stato sottratto ai bambini e ora viene da chiedersi che ricordo si porteranno dietro di questo 2020, come il lockdown ha cambiato la loro percezione delle cose dopo sette mesi chiusi in casa e soprattutto se saranno ancora in grado di riconoscere il gatto e la volpeo se non abbiano iniziato anche loro a raccontare le bugie.

Il problema si pone anche per i più grandi, dai liceali agli universitari: si può trasformare l’istruzione pubblica in una semplicistica scuola online?

Pur trattandosi di una soluzione a tempo determinato (quando e come finirà è ancora un mistero), il rischio che la scuola diventi un’opzione, mutando la sua forma da un diritto/dovere a una mera scelta personale, c’è tutto. Non possiamo davvero immaginarci stuoie di privatisti alle prese con pile di libri in vista degli esami di verifica, e nemmeno enormi aule universitarie vuote proprio là dove un tempo si discuteva e dibatteva tutti insieme appassionatamente.

Aule in cui ci si può prendere il lusso di uscire e rientrare quando gli occhi si fanno stanchi per prendersi un caffè o perché il telefono squilla, aule dove il professore è una persona vera e in carne d’ossa con tutti i suoi pregi e difetti ma pronto a stupire gli studenti con l’arte dell’insegnamento. Sì, perché con la chiusura delle aule, dagli asili fino all’università, rischiamo di perdere una delle più grandi tradizioni della nostra storia: l’oralità, tramandata per millenni e ancora in forza nonostante l’invenzione della scrittura, base universale di quell’attività che ci distingue quali animali sociali. Quel théatronche necessariamente vuole la presenza di un pubblico, gli studenti appunto, per far sì che la magia prenda vita, che la storia, e non solo quella, possa continuare a scorrere tramandandosi di generazione in generazione.

Sta a noi, gli adulti, trovare una soluzione fino al fatidico momento in cui il vaccino non uscirà dai laboratori di tutto il mondo (ancora una volta l’Italia è in pole position insieme ad Oxford), senza dimenticarci che c’è chi ancora ne farebbe a meno per una sterile battaglia ideologica (per gli appassionati di fantapolitica e negazionismo rimandiamo al nostro articolo sulle presuntemascherine tossiche della Regione Piemonte).

Certamente la risposta non può essere (solo) un banco a rotelle, che cambia nella forma ma non nel contenuto, che costa tanto e sostituisce solo qualcosa che già c’era. Bisogna riconquistare il diritto alla socialità, al confronto e alla scoperta. Perché altrimenti rischiamo di trasformare davvero la scuola e l’università in un fantasmagorico paese dei balocchi.

E chissà, forse di noi scriveranno proprio:

C’era una volta…

  • La scuola! – diranno subito i nostri piccoli lettori
  • No ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un banco a rotelle.

Ergo, mettersi la mascherina, come la matematica, non è un’opinione. Fatelo e basta.

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