15 Maggio 2024
Alessandra Ferrara | Concepire vita è uno dei frutti più belli dell’amore. Nonostante l’istinto materno innato, una donna può scegliere di diventare madre o rinunciare
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Alessandra Ferrara

L’amore genera amore: uno dei suoi frutti migliori è la vita. Decidere di concepire vita è una scelta, a volte pensata, a volte impulsiva, a volte involontaria. La concezione secondo cui le donne esistano solo per diventare mogli e quindi madri ha subito una profonda trasformazione, ma non è del tutto estinta.

Nel mondo animale o vegetale, la natura predomina sugli istinti riproduttivi del maschio e della femmina escludendo a priori la possibilità di non creare vita. La femmina ha poca possibilità di scelta: deve diventare madre. Un’ape che impollina un fiore, una gallina, una balena chiedono un “permesso” per procreare? Sarebbe interessante e curioso scoprirlo! La specie umana, dotata di intelletto, esercita il dono della ragione, quindi avere un pensiero proprio è una forma di libertà. Di conseguenza come un uomo esprime la volontà di voler diventare padre senza imporlo alla sua compagna, anche una donna può liberamente scegliere se diventare madre oppure no.

Nasciamo e cresciamo con l’idea che noi donne abbiamo un istinto materno innato solo perché all’età di 5 anni amiamo fare le mamme di Cicciobello oppure da grandi ci prendiamo cure di un animale domestico o una pianta grassa con le stesse attenzioni riservate ad un bambino. Sicuramente c’è un minimo di verità, il fatto che una bambina prediliga giocare con le macchine piuttosto che far addormentare un bambolotto non implica, però, che non abbia quell’istinto.

Via da

L’essere pronta a diventare madre è una scelta libera, un atto di amore per sé stessi e per gli altri, un istinto protettivo e costruttivo. Chi siamo noi a poter esprimere un giudizio? Nessuna sentenza, solo punti di vista. Pronunciare la parola aborto ancora oggi genera una tremenda paura. Il suono onomatopeico rievoca già l’atto di allontanarsi da qualcosa per la sua etimologia latina: composizione della preposizione ab “via da”e dal verbo oriri “nascere”.

L’interruzione di gravidanza coinvolge direttamente la donna sia da un punto di vista fisico, ma soprattutto emotivo-psicologico. E per riflesso, anche, il suo compagno e tutti colo che la circondano (familiari, amici, personale medico).

Scoprire di essere in attesa di un figlio ha un duplice effetto se lo contestualizzassimo nella libertà di scelta della donna di diventare madre.

È fonte di gioia quando la coppia esprime il desiderio di diventare genitori. I 180 giorni che seguono il concepimento sono decisivi, poiché è possibile il verificarsi di un’interruzione di gravidanza spontanea per cause naturali come ad esempio anomalie cromosomiche o genetiche. L’aborto, in questo caso, è un rischio esterno che la donna non può controllare. Al contrario, può essere sorgente di profondo sconforto, dolore nel momento in cui la donna manifesta la volontà di non diventare madre. Le cause che sono molteplici: su una scala di importanza ognuna avrà un peso diverso in base al caso specifico. Tutte valide, ma nessuna imputabile. La donna ha quindi la possibilità di poter abortire volontariamente.

In Italia, fino al 1978, l’interruzione volontaria di gravidanza era considerata un reato punibile penalmente. La componente etico-morale che accompagna il tema in oggetto è davvero elevata e fonte di grandi e profonde discussioni, che hanno portato però alla regolazione dell’aborto con la Legge 194. In particolare dall’articolo 4 si legge che l’interruzione volontaria di Gravidanza (IVG) è permessa alla donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito.

Nonostante la tutela della Stato, non è però tutto così semplice: l’obiezione di coscienza da parte del personale medico, con una percentuale di circa il 70%, o le condizioni sociali ed economiche legate al contesto familiare potrebbero essere motivo di non scelta per la donna.

Mea Culpa

La donna è ancora una volta ostacolata nel suo percorso di scelta: lottare per imporre la propria decisione, accettare passivamente le condizioni imposte da altri, rinunciare alla propria stessa vita.

Dammi la mano un fiore è nato in un campo di spine vietato
Spostami il velo che voglio guardare per la prima volta

asciuga le lacrime 

assolvi se merito oppure
condanna
Mea culpa

Mea Culpa, La Zero

Recita così una strofa della canzone dal titolo “Mea Culpa” della cantautrice napoletana La Zero: il grembo materno è un campo di spine vietano che esclude la nascita di un fiore, quindi il concepire un figlio. La protagonista della storia, peraltro vera, è una giovane suora che resta incinta dell’uomo che ama. A causa della sua condizione di religiosa, dei pregiudizi e dei giudizi decide di autocondannarsi, sacrificando la sua vita e quella del feto. Ascoltare questo pezzo è stato un momento di profonda riflessione. Ho provato a scoprire con La Zero, nome d’arte di Manuela Zero, come sia nato:

Quanto è stato difficile immaginare ed interpretare la condizione in cui si sia trovata la protagonista?

«Le vite che racconto si scrivono da sole, entro in empatia con le storie che mi colpiscono. Credo che questa capacità dipenda dalla mancanza di pudore che ho verso quello che provo: semplicemente seguo il flusso. Quindi, non so se sia stato difficile, ma è stato sicuramente un viaggio assurdo. Mi interessava raccontare ciò che stava dietro questa scelta così difficile, cosa si nascondeva. Credo che la cosa più complicata non sia immedesimarsi, ma andare a fondo: togliere il giudizio personale, e provare a scendere giù, dove nessuno ha voglia di andare, abbracciare questa giovane suora, ed ascoltare la verità».

Cosa ti ha spinto a tradurre in parole e musica questa storia?

«In generale, non so mai rispondere quando mi chiedono cosa ti ha spinto a raccontare questa storia. Posso dirti cosa sentivo addosso mentre la scrivevo: rabbia, molta rabbia, nei confronti di una società sempre in giudizio, tenerezza, disperazione, vita presa a morsi, forza.É complicato, dentro questa storia, e dietro ad una scelta così disperata, ci sono mille sensazioni diverse».

Da giovane donna quale è il tuo pensiero oggettivo e soggettivo in merito al tema?

«Io credo che ogni storia sia a sé. Ho imparato crescendo, che giudicare scelte che non ci appartengono, è davvero sbagliato. Sono cresciuta in un teatro, con mille regole da rispettare. Mi hanno insegnato ad essere sempre molto dura, verso me stessa, e verso il prossimo. Con il tempo ho imparato a mollare, a perdonarmi e perdonare. L’idea di distruggere la vita comunque mi fa paura, non credo ci riuscirei, ma non sono neanche in giudizio nei confronti di chi sceglie di farlo, perché siamo tutti esseri umani diversi, ognuno con le sue ragioni, ognuno con la sua storia, nessuna scelta è uguale ad un’altra».

«In Mea Culpa dico “tutti muoriamo d’amore, ma l’amore non può morire”: è questo il messaggio che mi piacerebbe passasse. Credo che dietro ogni donna che decida di scegliere di non mettere al mondo la vita, ci sia un piccolo spazio da qualche parte, dove quella vita, ci sarà per sempre. E con tenerezza, mi chiedo: chissà come si sta?»

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