29 Aprile 2024
JB| La pandemia ha fatto riscoprire il valore delle terre alte che però -avverte UNCEM- hanno bisogno di un piano nazionale di rilancio
Share

Per prevenire i rischi di un ritorno della pandemia gli italiani farebbero bene a riscoprire i borghi alpini e a spostarsi in zone meno popolate rispetto alle grandi città.

Lo sostengono alcuni giornali europei, soprattutto anglosassoni come il Times, il Telegraph (leggi QUI) o il portale The Local, che nei giorni scorsi hanno dato particolare risalto alle dichiarazioni di Stefano Boeri e Massimiliano Fuksas.

I due archistar e urbanisti nostrani hanno infatti lanciato una proposta che sa molto di provocazione: il futuro è nei piccoli borghi e la politica dovrebbe incoraggiare un ripopolamento di quei paesi e di quelle “ghost town” dalle quali -almeno fino a ieri- in tanti cercavano di venire via.

Nulla di nuovo però per chi di montagna e di terre alte si occupa da quasi sessant’anni. Non si è fatta attendere infatti la risposta di UNCEM, l’Unione nazionale dei comuni e degli enti montani, che a stretto giro di posta ha ringraziato per l’interesse e ha subito rilanciato con una proposta. «Lavoriamo insieme -dice il presidente di Uncem, Marco Bussone– per rafforzare proprio in montagna e nei piccoli borghi la rete dei servizi».

I 55 giorni di confinamento obbligato hanno infatti aperto uno squarcio su una consistente fetta d’Italia sostanzialmente sconosciuta a chi non la vive. E hanno rimesso al centro della discussione la vocazione delle “terre alte”, destinate a diventare laboratorio per le future politiche di efficientamento energetico, di risparmio di suolo e di economia circolare.

Marco Bussone, come ha vissuto la montagna questa quarantena?

Sindaci e amministratori sono stati in prima linea per affrontare tutte le criticità di questo periodo, a cominciare dal non sempre facile recepimento delle disposizioni governative. I territori hanno affrontato l’emergenza in maniera diversa, perché diverse sono state le ripercussioni paese per paese. Tanti territori hanno reagito bene, perché protetti da sistemi di prevenzione e cura efficienti.

E i 12 milioni di italiani che vivono in montagna?

Abbiamo sperimentato una coesione diversa, i cittadini dei centri medio piccoli hanno dato prova di maturità e civiltà seguendo le regole. Non ci sono stati sindaci-sceriffi come in altre parti d’Italia. Forse perché più abituati alla stagionalità e a guardare alla prossima scadenza imprese e attività hanno lavorato già verso la fase 2 quando ancora era tutta da definire, verso un’estate che comunque -è questione di poche settimane- arriverà anche quest’anno. (Anche per la montagna valgono gli incentivi del bonus vacanze LEGGI QUI)

Adesso siamo nel pieno della Fase2, quali ricadute vi aspettate?

In questi giorni pensiamo soprattutto a come organizzare e gestire l’accoglienza di chi alla montagna torna, per le seconde case o per riprendere confidenza con le buone abitudini pre-virus. Gli amministratori, d’intesa con Enti centrali e locali, dovranno essere bravi a organizzare i flussi “da” e “per” la montagna. La prima risposta da dare è quella della sicurezza, e sarà possibile lavorare in sicurezza solo se si è coesi e attenti, tutti.

I mesi di lockdown cosa hanno insegnato?

Questa emergenza ha messo in luce due grandi questioni. Prima di tutto c’è forte e grave divario digitale che diventa sempre più divario economico e sociale. Più di 1.200 comuni montani in Italia hanno una scarsa copertura delle reti di telefonia mobile, senza contare i coni d’ombra che rendono impossibile la ricezione dei canali della tv pubblica. Ce ne siamo resi conto durante l’emergenza, con l’impossibilità di lavorare da casa o far seguire ai ragazzi delle scuole chiuse le lezioni on line. Il BUL, piano strategico per la banda larga, è in ritardo di due anni. Poi, seconda questione, va ripensata la fiscalità locale.

Meno tasse e più agevolazioni per la montagna?

La politica deve aiutare, con provvedimenti immediati certo, ma soprattutto in prospettiva. Ad esempio, perché non differenziare l’IVA su prodotti e produzioni green realizzate nelle “green communities”, quei territori dove si producono beni ad alto valore aggiunto con ricadute immediate sul territorio. Essere territoriali non vuol dire essere isolati.

I borghi alpini, insomma, meritano più spazio nell’agenda del governo, non solo in tempi di emergenza sanitaria e non solo per le suggestioni del momento. «Ha ragione Boeri -conclude ancora Bussone- buona parte del nostro futuro si gioca nei borghi, che però devono al più presto essere messi al centro di un grande piano nazionale».

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *