7 Ottobre 2024
Paola Cappa | All’inizio è un trascurabile disagio ma la Sclerosi Laterale Amiotrofica è una malattia neurodegenerativa progressiva che non perdona
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Paola Cappa

All’inizio è un trascurabile disagio: la mano malferma o una lieve zoppia. Ma la Sclerosi Laterale Amiotrofica, più tristemente nota come Sla, è una malattia neurodegenerativa progressiva che non perdona. Chi ne è colpito è destinato a una perdita totale di autonomia, dalla mobilità alle più semplici operazioni finali, sino all’uso della parola. Una situazione che va gestita con opportune terapie con il sostegno di psicologi e psicoterapeuti. E il percorso di aiuto è rivolto al paziente non meno che alla sua famiglia.

Ad Antropos-Viversani si è parlato di Sla

Di Sla si è parlato ad Antropos- Viversani, la trasmissione di medicina, ambiente e società ideata a condotta dal medico e giornalista prof. Giorgio Diaferia, in onda ogni domenica, a partire dalle 17.30, sull’emittente piemontese Telecupole.

Per approfondire problematiche, terapie e percorsi di cura della Sla, il prof. Diaferia ha chiamato esperti di fama. Il Prof. Adriano Chiò, Professore Ordinario di Neurologia, Direttore S.C. Neurologia 1 universitaria delle Molinette di Torino e Responsabile del Centro Regionale Esperto SLA di Torino, Dipartimento di Neuroscienze ‘Rita Levi Montalcini’. Con lui la D.ssa Barbara Iazzolino, Psicoterapeuta, esperta in Neuropsicologia dell’età evolutiva e dell’adulto, del Dipartimento di Neuroscienze “Rita Levi Montalcini” di Torino.

“La SLA fu scoperta nel 1869 dal neurologo francese Jean-Martin Charcot, ma ottenne l’attenzione internazionale nel 1939, quando fu colpito il giocatore americano di baseball Lou GehrigDiaferia fa un quadro introduttivo – Si tratta di una malattia considerata rara. Ma che rara non è poi così tanto. E certo è di assoluta gravità”.

“La Sla è provocata dalla perdita dei motoneuroni spinali, bulbari e corticali – spiega Chiò – Cosa che provoca la paralisi dei muscoli volontari fino a coinvolgere anche quelli respiratori.  Senza motoneuroni infatti le informazioni elettriche del cervello e del midollo spinale non possono più raggiungere il muscolo, che come risultato diventa quindi inattivo, cioè paralizzato.”

Malattia subdola, annunciata da lievi e trascurabili segnali, la Sla non è neppure di semplice diagnosi. “Occorrono mesi e anche un anno prima di arrivare a individuarla”, continua Chiò. Quando il sospetto si fa fondato – e la sensibilità del medico di base su questo fronte è cruciale – occorre procedere con esami specifici, come la tomografia a emissione di positroni (Pet), la risonanza magnetica encefalica, la tac, l’elettromiografia e ancora test sulla velocità di conduzione nervosa, insieme con analisi del sangue e delle urine. “Ed è sempre dall’insieme delle valutazioni che si può arrivare a un quadro chiaro”.

SLA, sentenza difficile da accettare

Quando arriva, la diagnosi di Sla è un macigno che si abbatte sulla persona e sulla sua famiglia. “Una sentenza che non si è mai pronti ad accettare”, conferma la dottoressa Iazzolino. Le terapie ora ci sono – farmaci che incidono sui meccanismi genetici e che sono tanto più efficaci quando somministrati nei primi stadi del male. Ma tutte queste pur imprescindibili cure possono solo rallentarne il decorso, certo non arrestarlo. Per questo si fa fondamentale l’aiuto dello psicoterapeuta, che aiuta a gestire la via via progressiva perdita di autonomia. “L’obiettivo è insegnare a convivere con le infermità che si manifestano con l’estendersi della patologia – chiarisce Iazzolino – Ed è un lavoro che si fa sul paziente, ma anche con chi si occupa di lui, sia esso un congiunto o un badante”.

Sla, sostegni alle famiglie dei malati

Non era raro in passato che la famiglia abbandonasse il malato, sconvolta dai suoi cambiamenti, anche cognitivi, comportamentali, relazionali. Trasformazioni talora tanto repentine e profonde da renderlo irriconoscibile. “Ora capita di rado – prosegue Iazzolino – anche perché la presa in carico del malato prevede sostegni specifici anche domiciliari”. Non si tratta solo di presidi infermieristici e assistenziali di base. La Regione Piemonte è tra i pochi enti italiani a garantire un contributo economico, variabile dai 400 ai 2000 euro, per il sostegno familiare ai malati di Sla. “E’ un grande aiuto – riconosce Chiò – perché offre la possibilità di assumere un badante. La famiglia deve poter respirare, avere spazi propri per non essere a sua volta travolta nel gorgo della disperazione. Solo così può continuare ad accettare la situazione e ad accogliere il malato”. Da parte sua, il paziente deve sentirsi ancora amato, protetto, accettato per mantenere un minimo di qualità di vita. “Guai a isolarlo nella sua sofferenza. Se ne decreterebbe una fine rapida e assai dolorosa”.

SLA, i progressi della ricerca anche tra gli sportivi

Nel frattempo la ricerca prosegue, volta ad accelerare le diagnosi e ad analizzare a fondo le cause e le eventuali familiarità. “In particolare gli studi si concentrano sui portatori sani di Sla. Un campione cruciale su cui intervenire con l’obiettivo di arrestare la malattia”, illustra Chiò.

Sportivi e calciatori vittime di Sla

La Sla spesso colpisce gli sportivi, in particolare i calciatori. “Abbiamo evidenziato qualche relazione tra prestanza fisica e Sla – conferma Chiò – Probabilmente le alterazioni possono essere il risultato di accumuli di proteina TDP 43, mutante dei motoneuroni, responsabile della genesi e della progressione della Sla”. Un’altra possibile causa sono i traumi al capo. “E’ a nostro parere assai indicativo che tra i pazienti di Sla si siano contati anche numerosi giocatori di football americano, disciplina caratterizzata da pesanti scontri corpo a corpo”.

Non a caso la Sla è anche nota come morbo di Lou Gehrig, dal nome del giocatore americano di baseball che ne soffrì, tra gli anni Trenta e Quaranta. Popolarissimo, uno dei nomi più noti nella storia della Major League e dei New York Yankees, fu proprio lui ad annunciare pubblicamente la malattia che lo costringeva al ritiro e a chiedere il sostegno dei suoi fans. Il 4 luglio 1939 venne poi anche proclamato il “Lou Gehrig day”. Quel giorno Lou, già molto provato dal male, entrò per l’ultima volta nello Yankee Stadium e, di fronte a una platea di 60 mila persone, diede il suo addio alla folla che tanto lo aveva acclamato, applaudito e amato. “Sebbene io abbia avuto un duro colpo dalla sorte, mi considero l’uomo più fortunato sulla faccia della terra – disse allora, senza perdere il coraggio e la froza che sempre lo avevano caratterizzato – Ho avuto i migliori genitori e la moglie più perfetta che possa toccare ad un uomo. Ho giocato nella più bella squadra e sotto i due più grandi manager che siano esistiti nel nostro sport. Ringrazio tutti perché ho avuto molto di cui vivere.”

Antropos-ViverSano invita i telespettatori a seguire nuove puntate e approfondimenti ogni domenica alle 17.30 su TCP LAN15 Piemonte, SKY 824, Tv Sat 422, Liguria LCN 94, Lombardia LCN 119.

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